La guerra in Palestina è combattuta da decenni; una dolorosa realtà che ha attraversato generazioni. Il 7 ottobre 2023 Hamas attacca Israele e il mondo ritorna a parlare del conflitto ormai passato in sordina. L’effetto non dura però molto, visto quanto già in questi ultimi giorni l’interesse sia diminuito. Il mondo ha gradualmente sviluppato una sorta di assuefazione a questa tragedia, accettando le notizie di conflitto come parte di una “nuova normalità”. Ma com’è possibile che ci siamo abituati a una realtà così dilaniante?
Uno dei fenomeni più inquietanti legati ai conflitti prolungati è l’assuefazione, un processo psicologico in cui le persone si abituano gradualmente a situazioni stressanti o traumatiche. Nel contesto della guerra in Palestina, l’assuefazione si manifesta attraverso la normalizzazione delle notizie di violenza, rendendo più difficile percepire l’orrore di ciò che realmente accade.
Le notizie di attacchi, bombardamenti e scontri armati sono diventate, purtroppo, una costante nella vita quotidiana, già a partire dal conflitto in Ucraina, che ha subito la stessa sorte. Con il passare del tempo, la ripetizione di tali eventi ha contribuito a un’insensibilità emotiva, portando a una percezione distorta della gravità del conflitto.
I media giocano un ruolo chiave in questo problema. La costante esposizione a immagini e notizie di violenza può portare a una sorta di saturazione dell’informazione. Gli stessi telegiornali a un certo punto smettono di dare notizie su determinati argomenti, o comunque ne diminuiscono la frequenza.
Inoltre, l’assuefazione può portare a una sorta di stanchezza, per cui le persone si sentono sopraffatte dalla complessità del conflitto e si ritirano emotivamente.
Mantenere viva la consapevolezza, soprattutto in questi casi, è fondamentale per alimentare un impegno globale verso la pace. Ciò richiede un costante rinnovamento dell’attenzione su problemi, come la guerra in Palestina, un approccio critico ai media e un impegno collettivo per sollecitare azioni concrete per porre fine al conflitto.
Solo mantenendo viva la sensibilità e l’indignazione di fronte alla sofferenza umana possiamo sperare di rompere il ciclo della normalizzazione e combattere insieme per la pace.