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Così come è successo con la Guerra in Ucraina, con le rivolte in Iran o i tumulti in Afghanistan, a poco a poco ci stiamo dimenticando anche il conflitto tra Israele e Hamas.

In casi come questi dimenticare è una conseguenza della normalizzazione di un fatto che da novità si è trasformato in qualcosa di consueto, in abitudine.

Ci siamo quindi assuefatti alla violenza? In mia opinione ciò che è diventato consueto non è la violenza ma le notizie in quanto tali. Ogni giorno scrollando le pagine dei social, siamo sommersi da moltissime informazioni, ma nessuna ci “tocca” davvero. Certo, eventualmente proviamo ad immedesimarci per qualche momento in ciò che sta vivendo chi è vittima della situazione, ma è difficile che il nostro sforzo vada oltre.

Peraltro è legittimo chiedersi, se la questione non mi riguarda direttamente perché dovrei “interessarmene”? Infatti se le vicende avvengono in paesi lontani da dove viviamo ciò che possiamo fare per cambiare la situazione può sembrare quasi nullo.

Ad esempio, mi è personalmente capitato di provare, dopo aver analizzato a fondo una notizia, la sensazione di non poter fare nulla per cambiare le cose.

Molto spesso, come nel caso della Guerra israelo-palestinese, non si è ancora trovata una risposta chiara ad un problema attuale; quindi, a parte il conoscere il fatto, non è possibile fare altro, ed è spontaneo dimenticare il problema stesso.

Tuttavia, nei casi in cui si ritiene di conoscere sufficientemente un argomento e di conoscerne la “soluzione”, si può fare leva sull’opinione pubblica. Sostenendo apertamente sui social o durante i cortei una causa le si può dare rilievo, e se molti si impegnano nel farlo c’è la reale possibilità che la loro voce raggiunga chi si trova al potere e il volere di molti influenzi l’andamento dei fatti.

Giornali e social hanno anche un’altra importante funzione, ovvero quella di segnalare un fatto alle persone in modo che queste possano trarne un insegnamento e sapere come agire nel caso in cui nel futuro la situazione si ripresenti a loro. Se però ci limitiamo a conoscere solo superficialmente le informazioni fornite, se o quando lo stesso fatto accadrà direttamente a noi, non saremo certamente preparati ad affrontarle.

La divulgazione di notizie da sola può iniziare il processo di accrescimento di conoscenza e consapevolezza, ma perché questo si completi ci deve essere un lavoro successivo che spesse volte viene a mancare. Raramente, sentita una notizia, viene l’impulso di scoprire di più, fare ricerche, tenersi informati nei giorni a seguire; questo secondo me a causa della natura stessa delle notizie. I telegiornali, ad esempio, sono creati per informare riguardo agli avvenimenti più recenti di qualunque parte del mondo. Il loro scopo, quindi, non è quello di approfondire nel dettaglio queste vicende, capirne la causa e le possibili evoluzioni.

Una prima soluzione per risolvere questo problema potrebbe essere promuovere la visione di programmi esplicativi dei fatti di cronaca. Esistono già varie trasmissioni di questo tipo, tuttavia non sono seguite come i telegiornali da tutti i cittadini.

Inoltre si potrebbe favorire un maggiore coinvolgimento della popolazione in questioni attuali tramite sondaggi, corsi e attività di gruppo, anche per i più piccoli, così da aumentare la partecipazione e l’interesse. 

Concludendo, è vero ci siamo assuefatti alla violenza, alle guerre e alle catastrofi, ma io non credo sia perché siamo insensibili e senza cuore; semplicemente le notizie sono troppe perché si riesca ad assimilarle tutte. Nonostante ciò dobbiamo impegnarci, soprattutto per le questioni di peso, ad analizzare a fondo le notizie grazie all’ausilio di mezzi che semplifichino questo non semplice lavoro.

1 Comment
  1. il piu fresco 12 mesi ago

    bb metti esempi next time ;)

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