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In Italia l’inverno demografico non sembra volersi arrestare: nel 2022 le nascite scendono a 393 mila (-1,7% sull’anno precedente) e aumentano le donne senza figli (1 su 4 per le nate nel 1980). Si tratta di un fenomeno dovuto a molteplici fattori, tra cui cause di tipo economico, dal momento che avere figli comporta una spesa non indifferente. In Italia l’educazione di un figlio, dal nido alla laurea, costa in media 135 000 euro, dovendo provvedere al sostentamento, all’istruzione, agli interessi dei propri figli e alle loro possibili necessità. É fondamentale avere quindi una stabilità economica, sempre più difficile da raggiungere al giorno d’oggi a causa delle difficoltà nell’inserirsi nel mondo del lavoro. Aumenta così l’età media in cui si fa il primo figlio, 33,1 anni (ISTAT, 2021), la più alta in Europa, ragione per cui si ha anche meno tempo per fare figli. Infatti la media di figli è per donna 1,25 (ISTAT, 2021), dato in continuo calo.

Ci sono poi cause sociali che contribuiscono alla bassa natalità. Le donne sono spesso costrette a scegliere tra avere figli o una carriera, a causa della discriminazione nei confronti delle madri lavoratrici e all’assenza di supporto. Per una donna incinta è quasi impossibile riuscire a trovare lavoro e, talvolta, rischia di perdere il proprio durante la maternità. Tuttavia, anche se riuscisse a mantenere il proprio posto di lavoro, una madre con figli piccoli spesso non ha alternativa se non quella di dedicarsi a loro a tempo pieno, perdendo così un importante sostegno economico per la famiglia. Questo è dovuto alla mancanza di posti negli asili nido pubblici e al costo molto elevato di quelli privati e delle baby sitter. 

L’Italia si trova dunque di fronte ad una situazione che comporta diverse conseguenze in ambito sociale ed economico. L’aumento dell’età media della popolazione (46,2 anni registrati nel 2022), quindi il calo delle nascite, implica anche una diminuzione progressiva del numero di abitanti del paese. Infatti, si prevede che entro il 2080 si passerà da circa 59 milioni di abitanti a 48,5 milioni, con una diminuzione del 18% della popolazione. Per la prima volta, nel 2022, non si sono superate le 400 000 nascite in un anno, un minimo storico per la nostra nazione. Un paese che basa la propria forza lavoro sulle vecchie generazioni senza puntare sui più giovani rischia di incorrere in una riduzione della crescita economica e di investire sempre meno nei nuovi ambiti di innovazione tecnologica e scientifica. 

Inoltre il rapporto tra il numero di pensionati in Italia e di lavoratori attivi ad oggi arriva a toccare il 36% (e si presume che nel 2040 potrà arrivare addirittura al 65%), questo significa che per tre lavoratori c’è almeno un pensionato. Non migliora, a causa delle poche assunzioni e del calo considerevole degli impiegati, il numero delle entrate contributive. Questo fenomeno socio-economico ha portato al superamento delle uscite dalle casse dello Stato a svantaggio delle entrate. È anche per questa ragione che le pensioni stanno diventando sempre più povere, a discapito di coloro che le ricevono. Sono state analizzate alcune soluzioni come l’innalzamento dell’età di pensionamento che, però, non solo comporta un malumore generale, ma impedisce anche alla nuova classe di lavoratori di subentrare nel sistema.

Tra le altre conseguenze si trova anche il rischio di perdita di dinamismo in una società che, caratterizzata da un’età avanzata, è già in difficoltà da questo punto di vista e si trova indietro rispetto ai paesi più giovani e vogliosi di innovarsi.

Per frenare il calo della natalità in Italia bisognerebbe creare un ambiente socio-economico che contribuisca in modo efficiente alla crescita dei figli. Innanzitutto è necessario disporre delle infrastrutture essenziali per l’accudimento dei neonati, come gli asili nido che, in Italia, accolgono solo il 24,7% dei bambini, ben 8 punti percentuale in meno rispetto al minimo imposto dall’Unione Europea. 

Un altro fattore da considerare è la cosiddetta fuga di cervelli. Infatti, dal 2015 si contano in media 50000 espatri annui, e addirittura nel 2022 circa 10 giovani su 100 hanno lasciato il Paese. Questo fenomeno comporta una gravissima perdita economica di investimento, che si aggira attorno 14 miliardi di euro all’anno. Perché si interrompa questo processo, è necessario cambiare le politiche salariali, del mercato del lavoro e socio-abitative in modo permanente, non contando più su labili agevolazioni fiscali sancite da decreti legge, ma rendendo l’Italia più attrattiva non solo per i cittadini emigrati, ma anche per possibili immigrati che attenuerebbero di molto il nostro declino demografico.

In generale, la chiave per risolvere il problema dell’inverno demografico è creare una situazione nazionale socio-economica che permetta alle coppie di offrire ai propri figli almeno le stesse opportunità e lo stesso livello di benessere che loro hanno ricevuto. In questo modo il peso che comporta avere un figlio rimarrebbe in secondo piano, incentivando i giovani italiani a creare una famiglia.

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