A quanto sembra il lavoro dell’influencer è uno tra i più ambiti dai giovani. D’altra parte come si può rimproverare chi desideri fare un mestiere poco faticoso, che fa lucrare molto e che porta la celebrità in dono? In realtà l’influencer di professione prima si guadagna la celebrità e poi la mette al servizio dei marchi che pubblicizza. Quindi, più che “fare l’influencer”, l’obiettivo dovrebbe essere “diventare influencer”, ossia avere un seguito tale di pubblico da potersi proporre come veicolo pubblicitario. In altri termini l’influencer è qualcuno che affitta la propria faccia, la propria figura e la propria notorietà a chi desidera propagandare un certo prodotto.
Allo stesso modo, in fondo, altre figure professionali sorte di recente affittano qualcosa in cambio di una ricompensa: i rider, ad esempio, mettono a disposizione la loro fatica fisica per consegnare panini e pietanze a domicilio, né più né meno di quanto fanno gli influencer con la loro immagine. La differenza principale sta nel fatto che a fare il rider si guadagna molto meno e si fatica molto di più che a fare l’influencer. Questo, da un punto di vista razionale, spiega abbastanza bene perché le persone desiderino di più fare l’influencer che non fare il rider. In realtà, da sempre esistono ruoli simili all’influencer e al rider; la pubblicità è nata a fine del XIX secolo insieme alla produzione industriale e molti negozi, un tempo, erano dotati di fattorini, per le consegne a domicilio. La diffusione di Internet ha permesso di riscoprire queste professioni, esaltandone alcune caratteristiche.
A ben riflettere, la precarietà non è monopolio dei rider sottopagati, ma riguarda intere categorie. L’ambito artistico, per esempio, è sempre stato caratterizzato dal mecenatismo, ossia dalla ricerca di committenti in grado di garantire un reddito significativo. Mozart cercò di essere assunto alla corte asburgica senza mai riuscirci, Bach scrisse molta musica sacra perché aveva soprattutto dei committenti legati alla Chiesa. In epoca più recente, poi, alla celebrità artistica si è spesso legato un ruolo da influencer ante litteram. Basti pensare alla celebrità di pittori come Picasso e Dalì, famosi tra le altre cose per la tendenza a monetizzare con qualunque opera firmata da loro (bottiglie, soprammobili, assegni, disegnini fatti su tovaglioli), oppure a tutti i giganti della musica pop del secolo scorso. Per tutti gli esempi citati si può parlare di influencer, consapevoli o meno.
Questo suggerisce che alla notorietà sia sempre collegata una certa tendenza a indirizzare i gusti e le preferenze del pubblico e dei propri ammiratori. Lo sviluppo tecnologico, semmai, ha fatto sì che la fama venisse utilizzata come fonte di guadagno a sé stante, come mai era successo in passato.
Il fatto di provare a governare l’attività pubblicitaria svolta via Internet è appena normale; forse è meno normale pensare che si possano creare migliaia di posti di lavoro a partire da una posizione di influencer. Certo resta che la modernità non deve essere ignorata, perché ci sta correndo incontro. A noi resta la scelta se fuggire oppure rincorrerla.