Credo siano tutti d’accordo sul fatto che la sostituzione dei motori di ricerca con i chatbot a lungo andare causerà un cambiamento nelle abitudini e abilità umane.
Del resto questa conclusione è un diretto risultato della declamata funzione della tecnologia, ovvero rendere più facile la vita delle persone. È chiaro che essa fu necessaria all’uomo per colmare le sue mancanze a livello biologico, basti pensare ad invenzioni chiave nell’evoluzione come l’aratro o la ruota, senza le quali gesti che oggi compiamo in poco attimi, avrebbero richiesto grande impegno e fatica.
Mi pare però che negli ultimi decenni si sia cominciato ad impiegarla con scopi futili, (mi viene in mente la creazione di tecnologie sempre più efficienti adibite alle produzioni di massa; oppure la più subdola ideazione di social basati su algoritmi specifici per conoscere le preferenze dei consumatori) e che oramai la foga di scoperta abbia perso di vista il suo primo intento.
Difatti non credo che la sua utilità oggi si sia esaurita, anzi i problemi sono molteplici, dalla ricerca in ambito sanitario a quella per il cambiamento climatico, alla disparità economica…, ma pare talvolta che gli sforzi si concentrino più sul raggiungimento di profitti che sulla risoluzione dei punti deboli della società.
Come risultato le persone (ma solo le più benestanti) si ritrovano immerse in una noia paludosa, dovuta all’estrema facilità con cui è ormai possibile accedere ad ogni tipo di servizio. Abituati all’immediata soddisfazione dei bisogni, ogniqualvolta i tempi di attesa siano allungati cadiamo, come bambini viziati, in un tunnel di sconforto e disperazione.
Ebbene, questo processo non può che essere amplificato dalla nuova era dell’intelligenza artificiale generativa, strumento capace di ridurre notevolmente i tempi nello svolgimento di ogni tipo di ricerca.
Ad un primo impatto ciò potrebbe non sembrare un male, ma piuttosto un’opportunità: il tempo non più speso a cercare le informazioni tra decine di siti che mai contengono esattamente ciò che cerchiamo potrebbe essere investito in altre operazioni utili.
Quello che fanno i vari chatbot è infatti sostituirci in questo processo di ricerca e selezione delle informazioni, ma siamo davvero sicuri che le fonti a cui loro fanno riferimento siano le stesse che noi sceglieremmo? Questi sistemi, per quanto si tenti di renderli oggettivi e trasparenti, devono compiere una selezione tra i miliardi di informazioni che hanno a disposizione. La selezione dipende dall’algoritmo su cui essi sono basati; qualcuno avrà “detto” loro cosa è da ritenere giusto e cosa sbagliato. Ciò significa che questi sistemi agiranno basandosi sui pregiudizi dei propri creatori, e poiché le fonti in loro possesso non saranno per forza affidabili, la risposta finale sarà lontana dall’essere oggettiva.
È importante tenere conto del fatto che una selezione delle fonti a cui abbiamo accesso avviene già per conto degli attuali motori di ricerca. La fila di siti che compare sulla schermata di “Google” o di “Safari” è stata organizzata in base a criteri come la pertinenza, la data di pubblicazione, ma anche in base alle informazioni ricavate sul nostro conto.
Tale selezione in un certo senso è necessaria, perché le fonti disponibili sono spesso troppe, e anche comoda ed azzeccata, perché spesso ciò che cerchiamo è collegato alle nostre preferenze. Il prezzo da pagare quando si legge solo ciò che “ci si vuole sentir dire” è rischiare di rendere sempre più radicale il proprio pensiero.
Un altro problema che sorge è la perdita di capacità come l’abilità di selezione e la memorizzazione. La prima non verrebbe più esercitata nel momento in cui la macchina fosse in grado di rispondere in linguaggio naturale ad ogni nostra domanda, e ciò significherebbe diventare completamente dipendenti dalla tecnologia.
Per quanto riguarda invece la memorizzazione, una tendenza che si potrebbe sviluppare, come suggerisce la ricercatrice in ambitodi neuroscienze dell’università di Parma Martina Ardizzi, sarebbe la sensazione di sapere molte cose, dovuta alla possibilità di accedere ad ogni tipo di informazione in tempi brevissimi, senza però mai davvero informarsi e quindi senza che davvero si conosca nulla.
Sebbene questo possa sembrare sconcertante, è pur sempre vero che la perdita di queste abilità andrà di pari passo con l’acquisizione di altre.
Ad esempio si potrebbe diventare più “multitasking”, ovvero più capaci di fare tante cose allo stesso tempo. Anche la capacità di porre domande precise che possano essere comprese dal sistema di intelligenza artificiale potrebbe andare incontro ad uno sviluppo.
Se devo però essere sincera, potendo scegliere non scambierei le prime abilità con le seconde; in primo luogo perché credo che memoria e indipendenza nella ricerca siano valori in un certo senso più “umani”, che permettono di riconnettersi con un passato che ha molte cose da insegnarci; in secondo luogo perché ho il sentore che se l’uomo si appoggerà troppo alla tecnologia, rischierà di allontanarsi dalla realtà e dalle vere necessità.