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Ci stiamo avvicinando ad una nuova era geologica o ci siamo già dentro? Una nuova era per la geologia rappresenta una nuova era per la nostra cultura? Che cambiamento rappresenta?

La denominazione delle ere storiche geologiche non è di certo una necessità naturale quanto piuttosto umana. L’umanità ha bisogno di dare una definizione agli eventi, e alle ere, per condurre studi formalmente e per tenere traccia della storia del nostro pianeta, ma soprattutto per tener traccia di ciò che ha influenzato l’uomo nel corso della sua esistenza.

Quindi nel momento in cui la comunità scientifica pondera la decisione di denominare quest’era come Antropocene sta agendo secondo un oggettivo rigore scientifico o una condizionata mentalità antropocentrica?

Secondo la mia opinione, entrambe. Scientificamente parlando abbiamo effettivamente un grande impedimento, ovvero l’incapacità di determinare chiaramente l’impatto dell’attività umana sul nostro pianeta. E se questo è davvero complicato da calcolare, quasi impossibile, allora non possiamo opporci a un tale ostacolo. Attuare un salto d’era quasi per una necessità culturale significherebbe ignorare la limitatezza delle nostre capacità e l’oggettività della scienza, che non segue necessità ma fatti. Sarebbe quasi un affronto alla razionalità.

Antropologicamente parlando, entrare in una nuova epoca potrebbe avere più generi di effetti e diverse possibili reazioni.

 

 Questo perché l’Antropocene rappresenta proprio un cambiamento, sia storiografico che geologico ma sempre un cambiamento, e come tale può essere percepito come una novità strana e minacciosa oppure come il capitolo successivo della storia umana. Nel primo caso parla proprio la natura umana, schiva per il cambiamento e le alterazioni, che improvvisamente si dovrebbe trovare ad affrontare un contesto differente chiamato con il nome bizzarro di Antropocene. Ciò renderebbe tutti confusi e rapiti da una domanda comune; perché? ce n’era bisogno?

In effetti che bisogno c’è di cambiare nel momento in cui non se ne sente il bisogno? D’altro canto le novità non sono mai previste e organizzate, altrimenti non avrebbero il loro tipico effetto strabiliante.

Infatti una ragione valida per il cambiamento d’era sarebbe proprio una variazione nella mentalità comune: sarebbe utile che tutti prendessero coscienza della spesso negativa influenza che l’uomo ha avuto sul pianeta, e forse un eclatante cambio d’epoca potrebbe sortire l’effetto desiderato. E con questo arriviamo al secondo genere di impatto che un cambiamento potrebbe portare: non sempre le novità sono disprezzate, anzi talvolta sono addirittura acclamate e festeggiate; per questo l’Antropocene potrebbe portare un’ennesima atmosfera festiva tra le genti. Forse sono proprio i cambi d’epoca ad essere maggiormente apprezzati, basta pensare al comune capodanno o persino al famoso 2000. Questi cambiamenti sono percepiti come un nuovo inizio, la

 

 pulizia dai vecchi rancori, dai vecchi peccati e la nascita di una moltitudine di possibilità. Questi cambiamenti, talvolta, permettono all’uomo di deresponsabilizzarsi anziché di prendere coscienza, e forse proprio per questa consuetudine, per paradosso, un cambiamento inaspettato come l’Antropocene potrebbe produrre la reazione opposta. Ma questo cambiamento non passerebbe di certo inosservato.

Diciamo che è imprevedibile il vero impatto che potrebbe avere sulla popolazione, perché un cambiamento simile non è mai avvenuto e si può solo ragionare per meri parallelismi. Tuttavia non ritengo che potrà essere un cambiamento radicale e incisivo sulle coscienze popolari e per questo non si possono ignorare le primordiali necessità della comunità scientifica, oggettività e razionalità. Per quanto la cultura sia una componente cardine del nostro mondo non possiamo pretendere di promuovere il cambiamento a discapito dell’onestà intellettuale che contraddistingue la scienza. Non possiamo piegarla secondo le nostre necessità.

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