Perché l’economia di un Paese funzioni, ogni cittadino deve avere pari opportunità di raggiungere i propri obbiettivi lavorativi, contribuendo così al suo funzionamento al meglio delle sue possibilità. Gran parte degli Stati moderni si basa su un’economia mista, dove è incentivata la libera iniziativa economica dei singoli, ma questi sono comunque soggetti al controllo e alla regolamentazione del governo, che si occupa anche di fornire ai cittadini servizi di prima necessità.
In questo contesto è normale che qualcuno, che sia per pregi o per fortuna, riesca ad arricchirsi con la sua attività. Il fine di un’economia di questo tipo è infatti quello di valorizzare gli individui più meritevoli, in modo che operino in un ambiente competitivo di mercato e creino un equilibrio concorrenziale. Tuttavia da qualche tempo si sta assistendo ad un’estremizzazione di questa condizione, con una concentrazione di sempre più ricchezze nelle mani di pochi e un aumento sempre più consistente di persone in condizioni di povertà assoluta.
Questo dipende in parte dal fatto che non ci sia una vera e propria forma di controllo dei “super ricchi”, che anzi vengono tutelati da un’idea di sviluppo economico, la teoria del trickle-down, gocciolamento, secondo cui i benefici di una politica economica e fiscale favorevole agli strati più ricchi della popolazione deve finire prima o poi per discendere, gocciolare appunto anche sulle fasce meno favorite. Questa teoria però non è applicabile alla realtà, in quanto, se così fosse, non vi sarebbe un aumento così consistente di povertà.
Inoltre gli ultramilionari non sono obbligati a investire su ciò che necessitano le fasce meno abbienti e agiscono esclusivamente secondo i propri interessi. Il risultato è che mentre questi accrescono a velocità fulminante i propri guadagni, milioni di persone rischiano ogni giorno la vita a causa di condizioni economiche insostenibili.
Uno dei motivi per cui i “super ricchi” sono così ricchi è il fatto che la ricchezza è particolarmente sottotassata. Tenendo conto delle imposte dirette e indirette, in alcuni Paesi, come il Brasile e il Regno Unito, il 10% più povero della popolazione paga più imposte in proporzione al proprio reddito del 10% più ricco. Secondo i dati raccolti da Oxfam International, un’organizzazione non governativa attiva nella lotta alle disuguaglianze, se facessero pagare all’1% più ricco soltanto lo 0,5% in più di imposte sul proprio patrimonio, si otterrebbe un gettito superiore alla somma necessaria per mandare a scuola tutti i 262 milioni di bambini che ancora non vi hanno accesso e fornire assistenza sanitaria in grado di salvare la vita a 3,3 milioni di persone.
È anche vero però che il patrimonio di un ultramiliardario è (o almeno dovrebbe essere) proporzionale alle sue spese. Essi infatti sono spesso a capo di una filiera lunghissima di lavoratori a cui devono pagare gli stipendi. Tassare questi colossi, quindi, influirebbe anche su altre persone ingiustamente.
Io credo che il problema non siano davvero i “super ricchi”, ma il sistema che li ha creati, che è perciò molto più profondo e difficile da estirpare.
Viviamo in un mondo consumistico, dove non si mira a fornire le persone di ciò di cui hanno bisogno, ma a vendere in grandi quantità beni che rendono la vita più comoda a una piccola parte agiata della popolazione mondiale e che una settimana dopo che sono state messe in circolo sono già state dimenticate.
Serve quindi il passaggio da un’economia di sovra consumo ad una di produzione del necessario, basata sui principi di riciclo e riduzione degli sprechi.
Un modello di economia di questo tipo, detta circolare, costituisce una minaccia per le imprese multinazionali perché il loro guadagno deriva dalla vendita continua, perciò la produzione di oggetti più duraturi infierirebbe su di esse.
Per ridurre la perdita economica le aziende potrebbero incorporare nella loro filiera una fase di recupero e riciclo, così da risparmiare sul reperimento di materie prime.
Fenomeni come cambiamento climatico e crescita del divario economico tra “super ricchi” e “super poveri” sono sintomi di un’economia che non si adatta più al mondo in cui stiamo vivendo. È giunta l’ora di avviare un cambiamento.