Il fondatore americano di Facebook, Mark Zuckerberg, l’attrice israeliana Gal Gadot, l’ex presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi sono solo alcune tra le persone colpite dal fenomeno del Deepfake, di cui tutti possono essere vittima, ma anche causa.
Con questo termine inglese si indicano dei falsi digitali, prodotti da una intelligenza artificiale in grado di sintetizzare l’immagine umana e riprodurre movimenti o espressioni partendo da una fonte primaria (foto, video…), che successivamente vengono postati sulle piattaforme social senza alcun consenso dal diretto interessato.
Ciò può compromettere seriamente la figura del soggetto: dallo scambio di volti o variazione delle espressioni facciali (face-swapping), alla produzione di video in cui la persona parla e fa discorsi manipolati (voice-swapping), fino a casi più delicati come il Deep Nude, in cui la creazione dell’immagine ha principalmente scopo sessuale.
Esistono molte piattaforme digitali a pagamento o gratuite, accessibili a chiunque in grado di variare immagini originali, come “FaceSwap”, “Reface”, “DeepFace Lab”.
Molte sono le vittime colpite da questo fenomeno, contro cui una legislazione chiara non ha ancora definito possibili punizioni o sanzioni.
Nei nuovi casi che ci saranno la colpa sarà data all’intelligenza artificiale o alla persona autrice della manipolazione?
L’uomo è il primo creatore dell’intelligenza artificiale, è colui che progetta e aggiorna il funzionamento del digitale. Quindi è da far ricadere sugli essere umani la colpa di aver creato e diffuso immagini false.
Inoltre l’IA funziona sulla base di ordini e comandi che l’uomo dà per ottenere un risultato.Il prompt di richiesta quindi è un elemento fondamentale che definisce di chi sia la colpa, poiché ritengo che l’intenzione sia alla base di quello che è il risultato della modifica di contenuti digitali.
Infatti il Deepfake alcune volte viene utilizzato per ironizzare su fatti divertenti accaduti e altre volte diventa un vero e proprio strumento di truffa e inganno. Così come riferisce un articolo de “La Repubblica” del 2020:
“La diffusione dei deepfake ha già sollevato allarmi tra le forze dell’ordine, con preoccupazioni per l’uso di questa tecnologia nei processi di manipolazione politica, economica e sociale.”.
La colpevolezza umana dipende anche dall’assenza di consenso dei soggetti colpiti.
Nel caso dei social il Deepfake potrebbe rappresentare uno sfruttamento di identità, soprattutto nei casi in cui l’autore produca video con la figura manipolata di personaggi famosi, per ottenere maggiori visualizzazioni e guadagni, di cui probabilmente la celebrità non è nemmeno a conoscenza, violando pesantemente la sua privacy.
Invece è fondamentale tutelare e talvolta punire l’uso non autorizzato dell’immagine e della voce, così come la diffusione e condivisione di contenuti diffamatori.
D’altra parte dobbiamo ricordarci che non esiste soltanto colui che crea il contenuto digitale modificato, ma anche la persona che interagisce con i contenuti ingannevoli comuni sulle piattaforme digitali.
Poiché questo fenomeno è tanto diffuso dobbiamo riconoscere che siamo in qualche modo tutti quanti complici.
È curioso il fatto che in un mondo in cui si presta così tanta attenzione alla riservatezza personale e alla incolumità fisica, ce ne sia invece un’altro digitale in cui sembra non esistere alcun limite e alcuna restrizione per difendere i singoli soggetti.
Finchè queste due realtà saranno così separate tra loro non si potrà mai parlare di individuare quale sia il vero colpevole tra il digitale e l’umano.