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Con l’entrata in vigore della Global Minimum Tax stiamo assistendo a un importante cambiamento nel mondo imprenditoriale. Questa nuova tassa ha il fine di fermare il “fiscal dumping”, ovvero l’abbassamento da parte di una nazione delle aliquote per attirare nel suo territorio grandi imprese e trarne profitto. Per provvedere a ciò, con la Global Minimum Tax c’è una tassazione minima uguale per tutti gli stati, pari al 15% sugli utili delle big tech (grandi imprese multinazionali). Inoltre, per le grandi imprese con un profitto di almeno venti miliardi di utile, viene fatta una ridistribuzione negli stati dove c’è più utenza: dove c’è più mercato si pagano più tasse (per esempio se l’Italia è lo stato dove Amazon ha più clientela, la multinazionale dovrà pagare delle tasse su quella nazione anche se non ha sede lì).

 

Tuttavia, c’è da considerare che il termine “Global” non è ancora del tutto corretto. Due dei più grandi, se non i più grandi, stati di influenza nel mondo imprenditoriale, Cina e USA, non hanno ancora adottato questa tassa. Questo dato non è assolutamente da sottovalutare, soprattutto considerando che grandi società come Google, Apple, META, Amazon e altre ancora hanno sede in queste nazioni. 

 

Il concetto della G.M.T. è corretto, vuole, infatti, cercare di controllare in parte i grandi flussi di denaro delle multinazionali ed utilizzarli per il bene dei cittadini.

Oltretutto, potrebbe anche incentivare le grandi imprese a rimanere nelle loro nazioni natali come a spostarsi in un’altra per affacciarsi a nuovi mercati (in entrambi i casi favorendo la crescita di quello stesso paese che ora conviene come gli altri). 

 

Con la Global Minimum Tax si va avanti nel grande processo della globalizzazione, cercando di creare connessioni e condizioni in grado di aiutare e incentivare tutte le nazioni in maniera equa, regolata e controllata.

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