Giovani e tecnologia da anni ormai convivono, ma le lunghe ore passate davanti ad uno schermo con il joystick tra le mani, chiusi in casa, ipnotizzati dall’ultimo videogioco, non tranquillizzano certo gli adulti che lo ritengono negativo a livello educativo. Per questo motivo è stata creata una normativa a livello europeo che impone a tutti i produttori di scrivere fino a che età il gioco è vietato. Questa normativa, inoltre, impone anche il divieto di vendere una certa tipologia di videogiochi ai minori, ma non sempre viene rispettata. Per attribuire la corretta fascia d’età ai giochi è nato il sistema PEGI, Pan European Game Information, il quale ha creato cinque categorie: 3+, 7+, 12+, 16+ e 18+, per fornire un’indicazione affidabile sull’adeguatezza dei contenuti presenti nel videogioco. Sono obbligatoriamente presenti sulla confezione di ogni gioco, perché sempre più di frequente i videogames utilizzano un linguaggio volgare, presentano uso di droghe, gioco d’azzardo, scene a sfondo sessuale, rapine e perfino scene di violenza. Dunque questo significa che i numeri sono posti per indicare il livello di “pericolo” del videogioco e servono soprattutto ai genitori per controllare ciò che guardano i propri figli. I videogames sono solo finzione, ma sono creati per rispecchiare al meglio la vita reale quindi, visti in questo senso, possono essere considerati la controparte negativa della vita quotidiana. Se un videogioco prevede che l’unico modo per vincere sia uccidere o rubare, è ovvio che, fruendone fin da piccolo, il bambino non lo veda solo come una finzione, ma lo associ alla vita comune creandosi così una visione totalmente sbagliata della realtà. I giochi non sono pericolosi, non uccidono direttamente, ma in certi videogiochi fanno credere che quello sia l’unico obiettivo ed è questo il vero problema. Si intende questo, quando si parla di pericolo, il pericolo consiste in ciò che mostrano. Se non si ha un’età in cui si riesce a distinguere il bene dal male, tutto sembra uguale e non si riconoscono più le parti negative e la finzione.
