Per chi possiede una console, nella propria collezione di videogiochi non mancano mai almeno due o tre titoli sparatutto, noti anche come FPS (First Personal Shooter). La peculiarità di questo genere, che unisce i giocatori di tutto il mondo, è il fatto di poter “governare” le sorti di una lotta contro un nemico: ogni cosa, persona o avvenimento dipende dalla buona o cattiva condotta del giocatore, tutto grava su di lui e questo senso di responsabilità gli conferisce il titolo di “eroe della storia”, seppur affiancato da personaggi minori, talvolta.
Pur suggerendo la morale un comportamento opposto, chi dei videogiocatori della nuova e vecchia generazione non ha mai provato un senso di onnipotenza nel puntare il mirino contro un avversario, premere il grilletto e abbatterlo al suolo? E’ solo un momento, per poi ritornare alla realtà di sempre, la lineare routine che scandisce le nostre azioni quotidiane, ma caspita, se è stato fantastico quel momento!
Eppure, dovrebbe essere sbagliato uccidere, commettere dei furti o rapine in banca, espropriare una macchina per seminare i poliziotti, esercitare lo spaccio… ma intervistando diversi ragazzi appassionati del genere FPS, è emerso che questi trovano divertente commettere dei reati assolutamente contrari alla morale, durante quelle due ore di gioco, spesso sopportate da genitori accigliati che vorrebbero solo vedere i loro ragazzi a studiare e trascorrere la loro vita “all’aria aperta”. Il divertimento di questi ragazzi nel veder accasciare al suolo una povera vittima, sta proprio nel fatto di poter fare tutto ciò che si desidera nella misura più arbitraria, senza subire ripercussioni, cosa che accade invece nella vita reale. Non solo questo, ma anche il conseguimento di missioni imposte dal gioco e di guadagni economici, o l’immersione totale (in quanto il gioco è in prima persona) in una trama coinvolgente, piena di intrighi, congiure, enigmi, personaggi dalle mille sfaccettature, esplorazione di luoghi spesso oscuri, tetri e angoscianti e quant’altro, concorrono in un’esperienza interattiva vincente e molto apprezzata dalle fasce più giovani, sempre più richiedenti di azione, azione e ancora azione.
La nota stonata, però, ricade proprio sul ramo degli sparatutto. Articoli sui giornali, riguardanti la violenza istigata ai ragazzi da questo sottogenere, palesemente violento, non sono rari al giorno d’oggi, con in più una bella critica mossa da uno studioso o un sociologo che condanna e getta del fango sul medesimo e, molto spesso, anche sui videogiochi in generale (neanche fosse la peste del 1348!), rimpiangendo “i bei vecchi tempi…”
Francamente, non sono una gamers, né un critico, ma una semplice ragazza che ha avuto anche il suo background videoludico, seppur non con giochi violenti, ma divertendomi anche con i Platform (come “Super Mario”), quindi credo di parlare con uno spirito assolutamente critico e oggettivo quando dico che questa lotta parimpari tra videogiocatori e psichiatri, che vedono nei primi comportamenti inclini alla malvivenza, è una lotta persa, ma per entrambe le parti! Inoltre si sta facendo sentire sempre di più la voce che vorrebbe imporre le sanzioni ai famosi PEGI 18 (ovvero i videogiochi vietati ai minori), ma non penso si ufficializzerà mai, né penso che sia tanto vantaggiosa e per i dipendenti e per gli stessi distributori del titolo videoludico. Molti si preoccupano anche della salute fisica e mentale dei ragazzi che abbracciano la categoria dei giochi violenti; e anche qui tutto dipende da vari parametri da non oltrepassare, come la durata massima di gioco, la sensibilità del videogiocatore, il grado di violenza e il linguaggio, spesso molto “colorito”, che si trova all’interno di un FPS.
E quindi la domanda che ci poniamo tutti è: ‘Ma questi videogiochi sono veramente così violenti? Istigano al male?’
Secondo me: assolutamente no, forse i ragazzi appassionati del genere tenderebbero a modificare il proprio linguaggio, credendo che termini violenti o scurrili rendano il nostro parlare più “frizzante”, ma sicuramente una buona percentuale di questi ultimi non imbraccerà mai un’arma, o premerà il grilletto di una pistola solo per il puro piacere di uccidere, come nei videogiochi.
So che quest’ultima affermazione può sembrare una frase molto macabra: “il piacere di uccidere”. Non è qualcosa di molto rassicurante da dire ad un lettore. A tal proposito vorrei aprire una piccola parentesi: moltissimi ragazzi che giocano agli FPS, spesso e volentieri, sono i soggetti più “presi di mira” dal bullo di turno a scuola e, non sapendo come reagire, una volta tornati a casa, riversano tutto il loro odio e la loro rabbia su un joypad, ammazzando e facendo razzia di ogni cosa che vedono al loro passaggio nell’ora e mezza di gioco; altri ancora, secondo una mia ipotesi, tendono ai giochi violenti (specialmente gli Splatter) come mezzo “stabilizzante”: nella realtà, il veder morire una persona, è qualcosa di destabilizzante, scioccante, che segna l’artefice e lo spettatore in qualche maniera; nei videogiochi invece no, poiché il videogiocatore in questione è consapevole della “finzione” sin dal momento in cui impugna il joypad e rimane “stabile”, perciò prova “godimento” nell’uccidere e rubare, perché sa che basterebbe un click sul pulsante del televisore per interrompere l’esperienza di gioco e livellarsi alla routine quotidiana.
Penso che queste siano due delle tante motivazioni che spingono molti giovani ad acquistare titoli come Halo o Call of Duty; ma lo sono anche anche ottenere una vittoria, meritata o immeritata che sia, e sconfiggere il nemico, risultato che vogliamo raggiungere tutti, perché il conseguimento di tale obiettivo è parte integrante dell’assetto genetico di ogni uomo.

Federica Maria Rotulo

Commenti
  1. sarabee 7 anni ago

    La violenza nei giochi secondo me

  2. monte98 7 anni ago

    In parte sono d’accordo con te, purtroppo non condivido la tua opinione riguardo al pericolo che si cela dietro ai videogame, io trovo che alcuni siano molto diseducativi e che istighino alla violenza.
    Comunque davvero un bell’articolo, complimenti.

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