Benvenuti nel Ventunesimo secolo.
E felici Hunger Games.
O meglio, Videogames.
La sensazione che si prova tenendo in mano un joystick mentre la parola “COD is loading, please wait” fluttua sullo schermo, non è molto diversa da ciò che prova il Katniss Everdeen mentre stringe l’arco e si prepara ad uccidere gli altri tributi.
Soltanto che lei, povera donna, possiamo anche comprenderla, non lo fa per svago, ma per salvarsi la vita.
E io, lo ripeto sempre ogni volta che guardo quel film, sarei morta ancora prima di correre a prendere le armi.
I videogiochi di oggi (ahimè, Crash Bandicoot è solo un vecchio ricordo) fanno pressappoco questo effetto, lo si nota osservando chi gioca o si legge nei resoconti di chi questo comportamento lo studia: simulazioni di sparatorie o di furti distribuiscono una condizione di perenne ansia e adrenalina che nemmeno le montagne russe riescono a trasmettere; e peggio, una convinzione che massacrare passanti con una mitragliatrice e sfrecciare su una macchina rubata ad alta velocità sia un qualcosa di assolutamente normale, innocuo e divertente.
Beh, certo, fino a quando le vittime non diventano persone vere.
Quando sui giornali si leggono titoli come: “ragazzo uccide per divertimento” o “uccide la madre perché gli ritira il suo videogioco preferito”, la domanda sorge spontanea: – avanti, scherziamo? Ditemi che sono su una candid camera. Mio Dio, andrò in TV! – con tanto di gridolini e prove per scrivere l’autografo.
Molti tra quelli che se lo chiedono, e come biasimarli, si aspetterebbero una risposta del tipo: – Ma certo, che ti aspettavi? Che fosse successo veramente? –
Mi spiace ma sì, è successo sul serio.
Prendete l’esempio del teenager americano. Uccide sua madre perché, a detta sua, gli aveva causato un torto terribile: allontanarlo dalla sua dipendenza dai videogiochi di guerra per evitargli comportamenti violenti e la bocciatura a scuola. Ragione, questa, per molti logica e sensata (con tanto di applausi perché, per fortuna, i genitori severi che sanno farsi rispettare esistono ancora) che è costata la vita alla donna che lo ha messo alla luce.
Il primo pensiero del ragazzo è stato: la mia vita non ha più senso senza poter uccidere qualcuno. La fine del mondo. L’Apocalisse. Il 2012 in ritardo.
Soluzione: eliminare l’ostacolo. 100 punti se ci riesci con un colpo.
La reazione del ragazzo è stata immediata.
Sua madre (sua madre, santo cielo, sua madre!) è diventata il bersaglio da cento punti del suo gioco preferito, e prendere la pistola e boom!, far fuori la donna che l’ha da sempre amato, è sembrato facile come bere un bicchier d’acqua.
Ma anche il caso dei due ragazzi che investono un quarantenne padre di un neonato non scherza.
L’obiettivo era ricreare l’ambiente di GTA e provare la sensazione adrenalinica di quando si gioca davanti ad uno schermo. E sappiamo tutti che per possedere la patente bisogna essere maggiorenni, e allora, probabilmente, non c’è limite di età che tenga per giochi dove uccidere è la prassi.
Una persona può essere grande e matura giuridicamente, può essere titolare di diritti e obblighi fino a quanto vuoi, guidare una macchina, riconoscere un figlio e bla bla bla, ma non significa che i videogiochi non abbiano effetti collaterali anche su di loro. Anzi.
“Pensavamo potesse essere divertente”, hanno detto i due ragazzi alla polizia, come se fosse una giustificazione priva di ogni contraddizione.
Certo, come no.
Sapete cos’era divertente? Il gioco del Monopoli, Il Giro dell’Oca, Non T’arrabbiare.
Quelli erano i giochi divertenti.
Almeno, lì non moriva nessuno.
