I due anni di pandemia hanno significativamente aumentato la domanda di servizi digitali: le imprese si sono adeguate a questa nuova richiesta, mettendo in atto un processo di digitalizzazione e ampliando il proprio personale. Tuttavia, in virtù dell’attuale aumento dei prezzi – legato all’inflazione crescente – diverse multinazionali hanno preso la decisione di ridimensionare il proprio personale, licenziando oltre 230 mila dipendenti. Quale meccanismo si cela dietro a questa decisione?
In primo luogo, è necessario comprendere come funzionano nello specifico le Big tech, ovvero le aziende più importanti nell’ambito tecnologico e informatico, oggi impegnate, tra le altre cose, nel contesto della Silicon Valley. Queste società internazionali vivono sui mercati finanziari e hanno obiettivi di crescita sempre più ambiziosi, sostenuti da investitori. La speranza di essere sostenuti da questi ultimi, e dunque di accumulare nuovi capitali da reinvestire in nuovi progetti, si scontra – come accennato inizialmente – con la crisi energetica ed economica che sta dilagando negli ultimi tempi, come conseguenza indiretta del conflitto russo-ucraino. Ecco che i giganti del settore della tecnologia dell’informazione – Google, Microsoft, Amazon e non solo – si sono trovati costretti a ridurre in maniera non indifferente il numero dei propri dipendenti. Si tratta di una scelta comprensibile che, tuttavia, dovrebbe cercare di rispondere alla profonda necessità di trovare altre soluzioni, al fine di lasciare aperte nuove opportunità ai dipendenti licenziati, oggi più che mai impegnati in progetti di ampio respiro per il futuro.
Per concludere, l’insieme di questi processi, strettamente connessi alla finanza e al capitalismo libero del mercato, possono essere efficacemente descritti da una sinusoide: un’onda che sale e scende in maniera sempre cangiante, in relazione al contesto che ne costituisce lo sfondo, oggi non particolarmente favorevole.