La pandemia ci ha dimostrato che, in presenza di un problema come quello del rischio sanitario, gli altri fenomeni mondiali vengono trascurati. Non solo milioni di persone si sono ammalate… molte di esse, peraltro, hanno perso la vita, ma tanti stanno pagando conseguenze in termini di sofferenza personale (lutti, perdita del lavoro, povertà, destabilizzazione di piccole e grandi certezze). Gli Stati del mondo hanno dovuto concentrare i loro sforzi sulla pandemia, provvedendo a rendere efficienti le strutture sanitarie e attuando interventi volti ad arginare, con restrizioni parziali o totali, il diffondersi della pandemia. Quindi, in nome della tutela della vita e della salute della popolazione, alcuni diritti fondamentali (autodeterminazione, esistenza dignitosa, libertà di movimento, di assemblea e riunione, di professare la propria religione in forma associata, diritto alla privacy, diritto alla sicurezza sul lavoro, libertà familiari, diritto ad un’adeguata istruzione, diritto d’asilo) sono stati oggetto di limitazioni totali o parziali. Si è cercato, così, di fronteggiare un fenomeno che ha avuto un impatto tale da essere paragonato ad una guerra. 

Ma, fino al periodo che ha preceduto il dilagare della pandemia, l’ordine del giorno era “i  migranti”. Si pensi che, circa 120 Paesi, hanno adottato, soprattutto a seguito del dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista, chiusure totali o condizionate alle frontiere. Nonostante il parere contrario della Commissione Europea, le intese firmate riguardo allo spazio Schengen e, in particolare modo, alla libera circolazione degli individui, sono state sospese da numerosi Stati dell’UE, determinando conseguenze sulla mobilità  internazionale di lavoratori, dipendenti stagionali, turisti e rifugiati. Tuttavia, se le migrazioni si sono momentaneamente interrotte, i fattori che, in genere, le determinano non sono affatto scomparsi, anzi, sono destinati ad incrementarsi a causa della crisi economica, ambientale e della instabilità geopolitica di numerose aree geografiche. Al progressivo e sostenuto aumento dei migranti nel mondo si contrappone la sempre più diffusa “politica dei Muri”, i porti chiusi, i respingimenti “costi quel che costi”, anche in termini di vite umane. Il problema, però, non riguarda solo coloro che vorrebbero entrare in un Paese, ma anche quelli che già vivono lì. Secondo uno studio pubblicato nell’ottobre del 2020 dall’Ocse ( www.internazionale.it ), infatti, la  popolazione straniera è più a rischio di contrarre il Coronavirus e di sprofondare, di conseguenza, nella povertà più “nera”: molti migranti lavorano in settori considerati essenziali, che non hanno subito restrizioni (sanità, vendita al dettaglio, consegne, lavori domestici). In Italia, la pandemia ha inoltre bloccato la sanatoria volta alla regolarizzazione degli irregolari, oltre a provocare un aumento dell’odio e della xenofobia, alimentati dalla ricerca di un capro espiatorio. Durante l’emergenza, è stato registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne, un peggioramento delle loro condizioni lavorative, un incremento sia dell’orario di lavoro (fino a raggiungere le 15 ore giornaliere) sia del numero di ore lavorate senza “registrazione” (20%), una forte diminuzione dei salari. E cosa dire dell’arrendevolezza? Il clima emergenziale ha spinto molti migranti sfruttati “a considerare se stessi come secondari rispetto ai destini degli italiani” ( www.internazionale.it ) e, quindi, a rinunciare, spesso, ai loro diritti, in nome di una sorta di “protocollo di sicurezza”. Inoltre, anche l’acquisizione della cittadinanza, durante l’emergenza Coronavirus, è rimasta problematica: i decreti sicurezza del primo governo Conte hanno irrigidito le norme relative all’istruttoria per la “naturalizzazione: 14 anni di lavoro stabile e costante (… è un’impresa anche per gli italiani…), non più dieci! 

E cosa dire della donna migrante? Le richiedenti asilo (prevalentemente ucraine e nigeriane) sono state solo l’11% di coloro che hanno presentato istanza di protezione internazionale (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it ). Nell’ambito di questo scenario, una condizione ancora più drammatica è quella vissuta dalle donne, generalmente in stato di vulnerabilità socio-economica, vittime di tratta, reclutate per lo sfruttamento, con minacce e uso della forza. Il traffico della prostituzione, una delle diverse forme di sfruttamento perpetrate dai trafficanti di essere umani, vede coinvolte, per la stragrande maggioranza dei casi, cittadine straniere, molte delle quali sono arrivate in Italia come richiedenti asilo o attraverso regolare visto d’ingresso. Il loro viaggio, costosissimo, è spesso reso possibile dalla regia di trafficanti che le obbligano, attraverso la prostituzione e altre forme di sfruttamento, a ripagare il debito contratto. Sembrerebbe che il lockdown abbia sgomberato il mercato della prostituzione dalle strade. Ma, se si analizza il fenomeno più in profondità, viene alla luce come la quarantena abbia reso ancora più  invisibili le donne sfruttate. Molte migranti, infatti, deprivate anche di quel poco che consentiva loro un minimo sostentamento, sono rimaste ancora più in balia dei loro sfruttatori o degli stessi clienti. 

Se, allora, forse può bastare un vaccino per realizzare l’immunità di gregge, per quanto riguarda le “malattie” del razzismo e dell’indifferenza sarà difficile diventarne tutti “immuni”. L’emergenza sanitaria non dovrà trasformarsi in un’emergenza sociale ancora più grave, in quanto lo stato di salute e la qualità della democrazia si misurano in base alla capacità di dare dignità agli  ultimi.

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