È arrivata all’improvviso e nessuno di noi era preparato. No, non stiamo parlando di pandemia, ma della rivoluzione tecnologica che ha caratterizzato l’ultimo cinquantennio delle nostre vite, e che dagli anni 2000 ha fatto passi da giganti che hanno lasciato tutti attoniti.

Si è evoluta talmente velocemente migliorando così drasticamente le nostre vite e semplificandole che si è imposta quasi senza che ce ne accorgessimo e senza che avessimo modo di porle un freno.

È cresciuta nella maniera che le era più comoda e funzionale: nel mercato, per mezzo di privati, fuori da ogni confine nazionale.

Infatti solo lì le innovazioni vengono finanziate in maniera persistente ed efficace, di modo da averne degli utili.

Ora dunque però si presenta un problema enorme: abbiamo lo strumento più potente del mondo nelle mani di pochissimi uomini il cui unico fine è il denaro e il cui unico controllore è il mercato che sappiamo tutti essere indomabile ed amorale.

In pratica abbiamo messo tutti noi stessi nelle mani di associazioni private che ci vedono come clienti, come numeri utili solo per i loro scopi, non persone, non cittadini con dei diritti, per ottenere in cambio un’esemplificazione della vita senza la quale non si può più fare nulla.

Però non bisogna pensare che per ottenere tutto questo sia lecito rinunciare alla propria privacy ed accettare tutti i rischi cui il web ci espone.

Tutto ciò era qualcosa che si poteva tollerare quando eravamo ancora impreparati a questa rivoluzione e ne abbiamo colto i frutti ignari di ciò a cui andavamo incontro, ma ora sappiamo tutto, i pericoli innegabili e gli ineluttabili vantaggi; per tanto gli Stati non possono più stare a guardare e devono impegnarsi, insieme, a fare evolvere questa tecnologia pensando non più al denaro, ma esclusivamente al bene dei propri cittadini. Tutto ciò è qualcosa che un’associazione privata, a causa della natura intrinseca del mercato non può fare.

Per questo ritengo che imporre nuove norme sulla privacy, sulla sicurezza, possa solo arginare il problema, ma non affatto risolverlo.

Infatti si farebbero delle norme molto facili da aggirare per i giganti del web, che in quanto internazionali sottostanno a tutte e nessuna legge e per altro sanno perfettamente che il loro mercato non può essere assolutamente chiuso, in quanto essenziale per la vita di tutti i giorni. Per fare un esempio Google potenzialmente potrebbe fare tutte le politiche che vuole, potrebbe non rispettare alcuna legge e non pagare alcuna sanzione, in quanto non può subire alcuna vera minaccia ovvero la cancellazione del suo prodotto.

Di conseguenza il ritengo che il problema vada risolto alla radice ovvero bisogna cambiare il fatto che la ricerca tecnologica risieda nelle mani dei privati.

Sostengo quindi che internet e dunque tutte le aziende private che risiedono in esso vadano statalizzate, poiché devono servire gli stati e non spremere i loro cittadini per il capitale.

Perciò le aziende diventerebbero dei dipendenti statali, pagati dallo stato per mantenere le strutture e tutto ciò di cui si necessita per mantenere il livello prestazionale delle aziende private.

Ovviamente nessuno stato possiederebbe le sostanze necessarie per un simile sforzo solo con la tassazione, perciò all’interno di internet ci dovrebbero essere le pubblicità o versioni premium, come per altro sono presenti oggi, per automantenersi e quindi garantire internet ovunque, anche nelle regioni dove oggi scarseggia.

Inoltre, per non arrestare il progresso, sarà necessario che il surplus dei guadagni dati dalla pubblicità di ogni stato verranno devoluti ad un fondo comune internazionale necessario per finanziare la ricerca, svolta per la prima volta con una vera collaborazione mondiale.

In pratica si avrebbero gli stessi vantaggi del modello odierno senza il rischio che le nostre informazioni vengano vendute a terzi poiché lo stato è qualcuno che non deve fare denaro e che per di più vuole tutelare i propri cittadini.

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