“Nominare un’ingiustizia significa dare un mezzo per pensarla e questo precede la creazione di un movimento per eliminarla.”  (Diana Russell)

Secondo l’Istat, i numeri sono a prova di qualsiasi verifica, in Italia 6 milioni e 788 mila donne hanno subito qualche forma di violenza nella loro vita, un’enormità, una scandalosa enormità. E veniamo alle cose da fare, ora e subito, i femminicidi non solo non diminuiscono, ma aumentano a ritmi impressionanti, ogni volta ci sono tante vite che si spengono o vengono messe a rischio. Un esempio frequente riguarda i figli orfani, come si possono aiutare, concretamente? Nel Paese delle leggi per tutti e contro tutti, con una vera bulimia di norme, non c’è nulla di specifico per questi figli, mentre altre categorie di orfani (pensiamo alle vittime del terrorismo o del lavoro al servizio dello Stato) ci sono. Serve un programma, che coinvolga anche istituzioni, associazioni di settore e amministrazioni locali, per gestire, sostenere, anche sul piano economico, e accompagnare gli orfani della violenza sulle donne. Uno dei motivi può riguardare la divergenza di opinioni, l’accettazione del pensiero dell’altro e dei personali modi di fare viene meno e risulta agli occhi dell’uomo come un aspetto sbagliato, da eliminare e non invece da apprezzare e accogliere. La violenza che le donne subiscono può risultare anche mentale, ciò non è meno importante o da sottovalutare in quanto si rischia di perdere un pensiero razionale e critico e di non avere più una propria indipendenza. La violenza psicologica è un continuum, c’è prima e dopo i maltrattamenti, è più difficile da riconoscere e da provare ma una piccola speranza c’è in quanto, negli ultimi tempi, sono sempre di più le donne che si presentano agli sportelli, prima che sia troppo tardi. In una coppia il legame tra i due risulta, in questi casi, possesso e non condivisione, è una morbosa voglia di avere il potere sull’altro limitando così il bisogno di ognuno di riuscire a prendere decisioni e controllare la propria vita. Nella storia del legame traumatico troviamo un fattore essenziale alla sua formazione: la gradualità, ovvero l’incremento graduale degli eventi abusivi. Questo incremento è simile «ad un lento veleno la cui portata lesiva non può essere percepita nell’immediatezza dei fatti. Esso coopera con una forma di adattamento, compatibile con la permanenza del rapporto più che con la fuga dal rapporto» (Millon,2004).

Così nella storia di questo rapporto troviamo che, soprattutto all’inizio della relazione, gli eventi d’abuso non sono percepiti come un’anomalia e ad essi non viene attribuito inizialmente il carattere di gravità, inoltre, gli atteggiamenti di contrizione da parte dell’uomo successivamente agli incidenti violenti operano al fine di rafforzare l’attaccamento affettivo in un momento in cui non vi è cognizione che l’abuso si ripeterà, si aggraverà e diventerà ineludibile. Il ripetersi di episodi di maggiore gravità tenderà poi a formare la convinzione nella donna che la violenza si ripresenterà a meno che non faccia qualcosa per prevenirla. Purtroppo sono tante le donne che non denunciano gli uomini colpevoli della violenza, e preferiscono subire in silenzio lo sfregio, fino a mettere continuamente a repentaglio la propria vita, anche per questo, per assistere, intervenire nell’emergenza, aiutare nel delicato passaggio di una denuncia, già negli anni Ottanta sono stati creati i Centri antiviolenza. Non sono luoghi della burocrazia assistenziale, o dello spreco del denaro pubblico che conosciamo in tanti gironi: sono postazioni di civiltà che vanno sostenute e supportate ma non possiamo affidarci sempre e soltanto alla generosità dei volontari, che oggi sono quelli che consentono a questi Centri di sopravvivere, mentre tanti sono costretti a chiudere per mancanza di fondi. Nonostante l’assurda situazione di precarietà nei Centri di violenza italiani vi passano oltre 14mila donne l’anno, e questo fa capire l’importanza decisiva di questi luoghi, dobbiamo provare a fermare l’onda che ci sta sommergendo. Sostengo che la sensibilizzazione fin dalle scuole di primo grado sia necessaria e non da escludere, non si deve temere di trattare un tema così importante perchè il vero momento in cui si deve avere paura è quando negli anni successivi si continuano a verificare fatti del genere.

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