Con gli eventi di Parigi, l’ISIS è diventata una minaccia globale a tutti gli effetti e l’attenzione mondiale si è concentrata esclusivamente sui suoi adepti. Testimonianze, reportage, articoli: i giornali sono stracolmi di tutto questo e i lettori sono sommersi da minuziose cronache e da analisi di esperti su ogni possibile aspetto della strategia terroristica in atto. Tra essi, c’è chi si chiede come i fondamentalisti riescano ad affrontare i costi degli attacchi organizzati e molte testate giornalistiche finanziarie l’hanno portato dei dati molto interessanti, chiarendo un po’ la situazione. I fondi necessari, infatti, arrivano in piccole quantità da ogni parte del mondo, persino dall’Italia. È il caso di molte segnalazioni nel bresciano, che sembrano ricondurre a transazioni dirette a presunti funzionari dell’Isis. I soldi poi sono stati bloccati, in quanto i destinatari sono stati riconosciuti, perché erano presenti nella black-list mondiale, un elenco di nomi in stretto contatto con lo stato islamico. Ad oggi si presume che nessuno stato europeo abbia rapporti economici con l’ISIS. Questa tesi è avvalorata dai dati raccolti, in cui risulta che il più grande “sponsor” del movimento jihadista pare essere la Turchia, che avrebbe utilizzato il movimento per guadagnare potere e conquistare la tanto ambita ammissione alla comunità europea. Il promotore più illustre di questa operazione risulta essere il figlio del presidente turco, Sümeyye Erdogan, che tramite la compravendita di petrolio alimenta finanziariamente lo stato islamico, soprattutto contro gli stati in contrasto con Ankara. Il controsenso in queste azioni è forte: solamente quando la Turchia capirà la gravità delle azioni che sta compiendo, e porrà fine alla guerra jihadista, forse verrà ammessa all’UE!

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