La massima aspirazione per tutti in qualsiasi sport, gioco o competizione che sia, è sempre la vittoria finale, la superiorità sugli altri giocatori. Lo scopo stesso è appunto la vittoria ed è questo fine che sorregge l’agonismo, il vero filo conduttore di ogni sfida che si rispetti. Pensiamo ad un gioco giocato senza nessun obiettivo, tanto per fare: non ci sarebbe più divertimento e nessuno giocherebbe, nessuno potrebbe apprezzare il sano confronto che, infatti, spesso diviene eccessivo nello sport di alto livello, dove pur di vincere si è illegali, come già successo nel calcio con casi di corruzione e in molti altri sport con doping (frequenti soprattutto nel ciclismo, nel tennis e nell’atletica). Il punto è che, nello sport praticato come lavoro, la vittoria equivale a ricchezza, fama e sponsorizzazioni, che troppo frequentemente superano il senso di gratificazione dopo molti sacrifici che ha sempre caratterizzato l’attività sportiva. Chissà come ci si sente vuoti a vincere non per merito propri, ma barando, oltretutto precludendo la possibilità di vittoria a qualcuno che ce la stava mettendo davvero tutta! In questo senso, bisognerebbe placare un po’ la fame di vittorie degli sportivi, ma non è facile far valere la tipica frase ripetuta ai bambini in caso di sconfitta, “l’importante è partecipare”, per un atleta che ha deciso di dedicare tutta la sua vita all’attività e che ha ovvie ambizioni di vittoria. Diverso è il discorso in ambito non professionistico, quindi nelle categorie minori oppure tra i ragazzi, dove non sempre bisogna vincere per sentirsi gratificati oppure felici. Un esempio extrasportivo abbastanza eclatante, in cui non è sempre necessario vincere, è il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, dove spesso e volentieri non sono i brani che vincono a diventare i più popolari, ma gli altri. Quindi, nella vita bisogna sempre vincere? No, sapendo però che più facile dirlo o scriverlo che pensarlo veramente!
