La competizione è diventata il passatempo preferito della nostra società, la linfa di cui si nutre e non esiste più un solo ambito in cui non ci sia accenno al competere. Questo potrebbe non essere propriamente un male, se non fosse che non si cerca più di vincere per la propria soddisfazione personale o per veder premiato il proprio impegno, tutt’altro: l’unico obiettivo è primeggiare e dimostrare di essere migliori, non importa come si giunga al grande traguardo, per chi ci crede, di essere “Il Migliore” in ogni ambito.
La vittoria dovrebbe rappresentare, prima di tutto, una gratifica per se stessi e un’iniezione di fiducia nelle proprie capacità, ma questo non è prerogativa esclusiva del primo posto: quando si è dato il massimo, senza riserve, la classifica non conta più e, se è consapevole di aver fatto del proprio meglio, nemmeno l’ultimo classificato ha qualcosa da rimproverarsi.
Certo, vincere e salire sul podio, fisico o immaginario che sia a seconda della competizione, è una sensazione unica, poiché si vedono coronati tutti i propri obiettivi e ci si sente fieri di ciò che si è stati in grado di fare. Mille vittorie, però, non potranno mai insegnare tanto quanto una sconfitta, anche una soltanto.
Dover continuare a sognare il primo gradino del podio, dal basso dell’ultimo posto, consapevoli di aver perso un’occasione per raggiungerlo; sentire la propria voce congratularsi con il vincitore come se appartenesse a qualcun altro, come se non si fosse già più lì; allontanarsi fra le grida di gioia di chi porta una medaglia al collo, mentre il proprio petto sembra così infinitamente leggero, privo del gratificante peso di un qualsiasi simbolo di vittoria… Queste non sono situazioni che si vorrebbero rivivere ogni giorno, né tantomeno ricordare, ma le sconfitte si aggrappano alla memoria con molta più tenacia di quanto non facciano le vittorie: la gioia e l’esultanza sono dei brevi momenti, che presto vengono riposti in qualche angolo della mente e dimenticati.
Una sconfitta, invece, non può essere rimossa così facilmente, perché sgomita fra i pensieri per essere ascoltata ed è difficile ignorarla, quando si ripresenta continuamente ad occupare la nostra mente. Ed è proprio questo che rende una sconfitta costruttiva: continuare a tornarvi col pensiero fa sì che lo “sconfitto”, oltre ad analizzare la sua performance da ogni punto di vista immaginabile per trovare una motivazione alla sua disfatta, si impegni il doppio per riuscire a migliorare e a cancellare, in particolar modo dalla propria mente, la delusione di avere perso.
Perdere non è soltanto un qualcosa di negativo, poiché permette a chi ha subito la sconfitta di capire ciò che necessita di essere migliorato e rafforzato e di rendersi conto che l’impegno finora avuto non è stato sufficiente. Il lavoro compiuto, per quanto faticoso e duro, porterà ai suoi frutti e, un giorno, anche gli sconfitti esulteranno con una medaglia al collo.
Nella loro gioia, però, saranno consapevoli di ciò che si prova con una sconfitta e non commetteranno mai l’errore di bearsi troppo di una vittoria, poiché non esiste un limite alla ricerca del miglioramento, nemmeno per un grande vincitore. Una sconfitta è un’occasione per migliorarsi e per diventare più forti, proprio perché, perdendo, si è delusi da se stessi e bisogna reagire, per non ridursi a vittime della delusione stessa.
Chi non ha mai fatto altro che trionfare, quando per la prima volta non sarà lui a vincere, si ritroverà impreparato al contraccolpo della sconfitta e, inevitabilmente, cadrà, in un punto dove uno sconfitto avrebbe saputo rimanere in piedi, aspettando una nuova possibilità di elevarsi a vincitore.
