“L’importante non è vincere ma partecipare” è un motto ormai estinto da decenni nel linguaggio della società moderna, tanto che ad alcuni potrà suonare persino sacrilego verso il tanto adorato dio “Successo”. Probabilmente anche tra le maestre della scuola dell’infanzia tale espressione è caduta in disuso. I bambini vanno stimolati a fare meglio e un po’ di sana competizione non può che contribuire al fine! D’altronde i genitori vogliono vedere i propri figli al centro del podio, la società ignora tutti coloro che non si distinguano dalla massa,nei giornali i titoli ospitano solo pochi caratteri, per un solo nome, e poi… Stop! Quanto importa a me stesso fare bene?! Qual è la posta che sono disposto a mettere in palio?È questo che mi rende felice?
Ovvio che credere in “L’importante non è vincere ma partecipare” risulta abbastanza improduttivo. Se si partecipa ad una competizione le tacche del metro su cui leggere il proprio valore non sono costituite dagli altri avversari, bensì dalla distanza tra i nostri limite e l’estremo obbiettivo, per il cui raggiungimento prendiamo parte alla sfida. Le sfide devono avere sempre come unico giudice l’altra parte di noi. I risultati sono pubblici ma possono sussurrare verità, grinta e voglia di migliorare solo a chi ne è l’autore. Ciò non significa che bisogna essere autoreferenziali; è fondamentale imparare dai successi e dagli errori degli altri, tuttavia tenere fisso lo sguardo sul proprio percorso aiuta a tenersi lontano da invidie, rancori e soprattutto da “scorciatoie” poco leali. Usciti da una sconfitta, delusi ed amareggiati per il risultato conseguito, l’unica nostra consolazione deve essere “Però ho dato il mio meglio!” e non il mero “almeno ho partecipato”. Dare il meglio sempre, contando solo sulle proprie forze , volta dopo volta, migliorare! Questa è la strada per il successo, e se il nostro nome non apparirà su di una copertina, lo potremo sempre leggere nell’albo dei numeri uno per Tenacia! Mica male, no?!
Linda Luciani